Gli indifferenti è un'esemplificazione in forma narrativa di quell'ignavia, meschinità e bassezze da cui metteva in guardia Dostoevskij nel suo saggio "Memorie dal sottosuolo". I cinque personaggi del breve romanzo non possiedono, e soprattutto non ambiscono, ad alcuna virtù, ma neanche si può dire siano animati da cattive intenzioni. Semplicemente si lasciano andare, ognuno a suo modo, agli stati d'animo più miseri che le loro squallide vite borghesi possono offrire loro. Ognuno desideroso, seppure in maniera parecchio nebulosa, di raggiungere una qualche forma di "successo", dai connotati comunque estremamente materiali o al più sentimentalistici, ma completamente incapaci di effondere in questo proposito un qualsiasi impegno o desiderio di autentica realizzazione. Si ritrovano così a osservare lo scorrere dei giorni divisi tra il rimpianto tra un a fantomatica età dell'oro ormai perduta e un futuro roseo che però stenta sempre a realizzarsi, e così si limitano ad attendere con qualche sospiro, indifferenti.
I personaggi e le relazioni tra ognuno di loro sono messe in scena con una profondità che io trovo straordinario per un diciannovenne quale era l'autore al tempo della sua stesura. Non di meno non si può ignorare che almeno in alcuni tratti l'approfondimento psicologico per certi aspetti è ripetitivo mentre per altri è lacunoso.
I personaggi e le relazioni tra ognuno di loro sono messe in scena con una profondità che io trovo straordinario per un diciannovenne quale era l'autore al tempo della sua stesura. Non di meno non si può ignorare che almeno in alcuni tratti l'approfondimento psicologico per certi aspetti è ripetitivo mentre per altri è lacunoso.